Industria petrolifera, le turbolenze continueranno per tutto il 2023

L’ultimo scossone all’industria petrolifera è stato dato all’inizio del mese di aprile, quando alcuni paesi guidati dall’Arabia Saudita hanno annunciato dei tagli coordinati alla produzione per oltre un milione di barili al giorno.
Chi sperava in un andamento più lineare del settore nel corso del 2023 è rimasto (ed è destinato a rimanere) molto deluso. Anche perché nel frattempo continuano a riemergere periodicamente i timori di recessione, che pure mandano il mercato in altalena.

Le ultime scosse all’industria petrolifera

industria petroliferaIl taglio annunciato a sorpresa ad inizio primavera va ad aggiungersi a quello che OPEC+ ha programmato a partire da ottobre scorso. Va poi ricordato che dal canto suo la Russia aveva già deciso di tagliare la produzione di 500 mila barili al giorno, in risposta alle sanzioni occidentali.

Il mondo si trova così a fare i conti complessivamente con un taglio produttivo del 3,7% da parte dell’industria petrolifera rispetto alla domanda globale.

Il riflesso i prezzi

È chiaro che l’interesse dei produttori di petrolio è quello di mantenere i prezzi a livello maggiore possibile (si ritiene che al di sotto degli 80 dollari potrebbero avere delle difficoltà), ma non così elevato da innescare un crollo della domanda. Quest’ultima al momento rimane robusta, nonostante le incertezze che vive l’economia globale, e i timori di una recessione.

Per questo motivo la maggior parte degli analisti ritiene che l’industria petrolifera vivrà ancora una forte volatilità dei prezzi, che dovrebbero continuare ad oscillare dentro un rettangolo pattern che va da 75 a 90 dollari per barile.

Il grosso timore

È chiaro che questa mossa ha innescato a livello globale il grosso timore di trovarsi nuovamente con un’inflazione fuori controllo. La pressione al rialzo sul prezzo del barile potrebbe innescare una crescita dei prezzi dell’energia, che è stato il principale fattore dei balzo dell’inflazione negli ultimi trimestri, dopo essere stata oltre la media mobile 200 periodi per quasi tutto il 2022.

Lo temono soprattutto le banche centrali, che hanno lavorato duramente nell’ultimo biennio per riuscire ad evitare che l’inflazione alta diventasse un fenomeno strutturale.