Impatto climatico di eventuale eruzione del supervulcano di Yellowstone

Negli ultimi giorni la notizia è rimbalzata nella comunità scientifica di tutto il mondo, coinvolgendo nel dibattito esperti di diverse discipline.

Se infatti a dare l’allarme sono stati i geologi e vulcanologi americani, l’intera comunità scientifica che si interessa di condizioni climatiche ha risposto con preoccupazione alla scoperta effettuata dagli scienziati USA che monitorano costantemente la caldera di Yellowstone.

Il supervulcano che si estende sotto la superficie di uno dei più grandi parchi naturalistici del Nord America è infatti una delle strutture magmatiche più studiate al mondo, anche perché era già ritenuto uno dei più grandi esempi di ‘supervulcano‘ – o caldera – nel ristrettissimo novero di località geologiche degne di fregiarsi di tale appellativo.

La scoperta è emersa studiando i movimenti sismici del supervulcano e ne rivela un’estensione di quasi 3 volte superiore al previsto. L’area di raccolta del magma investirebbe una cubatura estesa per oltre 90 chilometri quadri in superficie, e fino a 14 chilometri in profondità.

Un vero e proprio ‘mostro’, se si pensa che le precedenti stime facevano di Yellowstone una delle caldere più grandi del mondo: esistono una decina di supervulcani in tutto il pianeta, di cui abbiamo un esemplare anche in Italia nella zona – o meglio ‘sotto’ l’area – dei Campi Flegrei a Napoli.

La notizia delle dimensioni della caldera di Yellowstone ha destato preoccupazione per le conseguenze che sarebbero determinate da un’eventuale eruzione da parte del supervulcano, che non si attiva da oltre 640.000 anni ma che sembra tutt’altro che stabile.

Il supervulcano sarebbe in grado di proiettare un enorme massa di materia, che evidentemente sarebbe immediatamente distruttiva per buona parte del Nord America, almeno se si considera la gitta ipotetica di un fenomeno piroclastico del genere.

Ma la preoccupazione più grande, che potrebbe mettere in dubbio l’intera esperienza della vita sul pianeta, non riguarda gli effetti immediatamente connessi con l’espulsione di materiale magmatico da parte del supervulcano, per quanto localmente devastante.

L’espulsione di tonnellate di zolfo e cenere sarebbe invece devastante per l’atmosfera terrestre, che verrebbe letteralmente invasa da una coltre di ceneri fitta capace di coprire il sole per oltre 5 anni.

Questa ‘cappa’ sarebbe in grado di incidere sul clima terrestre abbassando le temperature di 5-15 gradi centigradi, a seconda della rilevanza dell’eruzione, determinando quasi certamente la morte biologica di molte specie viventi nelle fasce tropicali e una carestia generalizzata per quasi tutte le popolazioni del globo, già sopravvissute all’eruzione effettiva di Yellowstone.

Freddo e cielo permanentemente coperto, in sostanza, sarebbero i veri ‘killer’ globali determinati da una eventuale eruzione del supervulcano di Yellowstone: questo brusco calo di circa 10 gradi potrebbe innescare un periodo di glaciazione indotto, appunto, che potrebbe persino rivelarsi deleterio per le condizioni di vita sulla Terra.