TACCUINO #15
La filosofia è un farmaco?
D’accordo. Indi dovrebbe svolgere cura, sollievo, modificazione di uno stato (si direbbe) non dignitoso, a favore di beneficio e benessere.
La filosofia è copia sbiadita delle religioni?
Benissimo.
Spingiamoci sempre più oltre, abbandonando quel che sulle prime si pensava fosse la discesa all’ǎḇaddōn, ma un sentiero pare inviti a discendere ancora. Qui non possiamo esitar, non ci è consentito. E sia.
Filosofiamo con durezza. Siam consci di non posseder antidoto. I pochi strumenti nella nostra cassetta degli attrezzi sono le umili utilità che cellule formate mostrano quali risorse disponibili per facoltà.
Se la filosofia è fastidio, filosofare è grattarsi.
Rieccoci nell’osservar la stortura da privilegiata posizione, mai accettata.
Il concetto di libertà si pone in problema poiché il parlante può ritenersi libero solo sognando di esserlo. Non considerare le cause definisce l’assurdità del condizionamento d’esser causa di sé.
La volontà di vivere schopenhaueriana troverebbe risposta nell’illusione di credere alla vita, come se l’esistenza fosse il partecipar di questa. Se osserviamo tessuto cellulare al microscopio non vediamo vita: stiamo osservando il decadimento cellulare. Così interveniamo sul progresso degenerativo, Degressione, in realtà. Si direbbe che viviamo compiutamente morte. Eccola lì. Ora qui. Dimmi pure che quando non c’è lei ci siamo noi, e quando c’è lei noi non ci siamo. Se siamo stati nulla, il male è stato lo spostamento nel cammin di finitudine, all’interno di un nucleo circolare. Nel breve passaggio che un essere sopravvive alla frattura temporale, il dramma di ispirazione lineare cristiana consente l’esperimento di un modello che par solvere il problema essere. Nel dettaglio, il peso vissuto da coloro che farebbero il cosiddetto male, il peso delle ingiustizie, il dolore, la sofferenza, troveranno pace e giustizia nel luogo oltre, per i giusti credenti, a motivo di onniscienza e onnipotenza divina. Vedremo come volere, desiderio, convenienza, speranza, pulsione genitale, siano carnefici del fenomeno uomo. La storia non porta ad alcun progresso. Tutta la storia, tutte le storie. Vi è una sola unica differenza dalla morte dell’uomo: ad ora si vivon drammi, prima d’ora furon tragedie.
Piedi ben piantati su questo fosco, freddo terreno.
Bene, favoriamo falcata, oggi pesante. Dirigiamo operosi ma non lesti, facendo arte senza metodo, sull’architettura delle facoltà.
Abbiamo asserito che l’uomo è cosa che razionalizza. Abbiamo aggiunto che l’uomo è cosa che socializza. Se fosse razionale e sociale (alla guisa più comunemente intesa), vedremmo cader nel mondo gruppali enti di pensiero. Ma questo non può. L’egolatra è pensante. Possiamo spingerci un poco, scrivendo pensante pensiero parlato parlante. Sugli appositivi è ben ricordare che non sembrano catturare l’essere, e più ne abbiamo, più ci allontaniamo. Ma se ne aggiungessimo troppi? Se provassimo a limitare all’interno di un recinto il perverso che andiamo indagando sul piano autoptico? Utili definizioni nel tentativo di correre tra la nebbia per impattare contro il narcisista? Dobbiamo intessere una fitta rete che abbia maglia senza respiro. Proverò dunque.
Assumiamo forza e mostriamo l’indicibile psichico che muove nell’ombra. Più tardi arriveremo a difendere la realtà prima criticando sempre più aspramente l’illusione, costruzione derivante condizionante contagio, e così facendo dovremo sostenere il vedente sulle ceneri dell’ultimo, non ultimo esemplare di paradosso.
Descriviamo il ladro di vite. La forza tellurica nata da stortura che polverizza all’istante in lento stillicidio i cuori che battono e pulsano armonia vitale. Il danno al tempio sacralizzato che sempre più sopravvalutato chiamiamo corpo e, non foss’altro che tutto ciò che abbiamo, nel tempo che è unica cosa che possediamo, senza cura maltrattiamo, e un giorno sarà stato solo un altro. E sarà altra vittima del destino marcescente.
Pare vi sia sempre buona compagnia tra ladri. Il più infimo è quello di vite che si nutre di sangue. Il più corrotto è il vertice piramidale che si nutre di anime. Il più tecnico è il computer che si nutre di tempo.
Spietato. Il dispietato. Assente di pietà. Fiero, crudele, barbaro, empio. V’è differenza con inesorabile, chi non si arrende alle preghiere in favore altrui causa rigor di giustizia o gelosia di potere. E v’è differenza con implacabile, attributo di chi non piega dal proposito a favore di alcuno, a motivo di ruvidezza d’animo e rigidezza di principi.
Su barbaro e barbarie ricorriamo a Antifonte:
«Noi rispettiamo e veneriamo chi è di nobile origine, ma chi è di natali oscuri, né lo rispettiamo, né l’onoriamo. In questo, ci comportiamo gli uni verso gli altri da barbari, poiché di natura tutti siamo assolutamente uguali. Basta osservare le necessità naturali proprie di tutti gli uomini. Tutti infatti respiriamo l’aria con la bocca e con le narici».
Ciò solleva imponenti quesiti che muovono il pensar sull’interpolazione cristiana, che assumiamo come traccia possibile di inquinamento storico. Tutti fratelli, tutti psicopatici, ogni uno tutto. La follia che ci abita, dunque, ha una sola madre. Tenersi alla larga. Sosterremo che ben formati si potrà valutare il fenomeno umano come un temporale nella notte, effimera questione passeggera. E coglieremo l’intento del non ben formato che, mancando il tentativo attuato su invito pulsivo ad appagamento per desiderio (mai risolto), riempie solinga noia di atteggiamenti e comportamenti cuciti al piccolo uomo che si pensa eterno e infinito, e — a parer suo — vive ogni giorno come se non fosse l’ultimo.
Ci sentiamo sul limite del dover trattare considerazioni che come dardi verso noi dirigono impeto, ma nella nebbia si dissolvono a mezz’altezza, rovinando solamente sul timore suscitato a protettiva arma.
Risolleviamo il tal Antifonte, che prendiamo come solo tra Ramnunte e Atene. Scadenti di fiducia, trattiamo il pensiero e non altro.
«Le leggi umane sono tutte convenzionali. L’uomo dovrebbe seguire le leggi di natura, posto lo stabilire quali siano».
Concluderemmo che la morte dell’uomo ha seppellito risposte, e che le illusioni han ben compiuto opera prodigiosa cospargendo caustica su terreni che dissimulano il silenzio. Incediamo. L’indicibile intimo essere segue propria natura. Piuttosto semplice evincere che le leggi sono fatte per l’uomo, non l’uomo per le leggi. Quest’essenza comune a ogni uomo, ma sosteniamo non collettiva e non condivisibile, si contrappone alla legge normativa normata, la quale è inefficace e limita l’uomo. Siamo propensi nello spingerci oltre: è inefficace perché limita l’uomo. L’inefficienza si palesa nell’impossibilità di prevenire violazione.
La frase chi ti dorme accanto e non fa il tuo bene era nemico prima di sdraiarsi al tuo fianco ci condurrà ancor tastoni sul nuovo abisso testé apertosi.
Il danno a ciò che è naturale permane a tutti gli effetti.
La vagolante esperienza richiama.
Sadismo. Parafilia che trae il suo nome dal Marchese de Sade, aristocratico francese che nei suoi libri tratteggiò il personaggio di chi prova godimento dall’altrui dolore. Infliggendo crudeltà, sofferenze e umiliazioni all’altro da sé, il parafilico prova piacere sessuale. In senso lato il sadismo determina comportamenti umilianti mossi da tristizia, ferocia e brutalità, che evidenziano lo psichico naturale della personalità causa stortura mentale. Può spesso assumere caratteri di particolare gravità portando al compimento di atti estremi e di comportamenti efferati (torture, abusi, serialità) che danneggiano individui, rapporti familiari, e tutti gli attinenti il sociale.
La cessione di vendita e svendita del corpo del senza sangue al migliore e al peggiore offerente, fa del narcisista perverso il massimo danno a singoli, legnaggi, sangue, eredità, vita. Il calcolo e la predeterminazione di inaudita, sottile, gratuita e deliberata violenza turbano armonia, il sogno, la circolar pienezza, la felicità, la speranza (per chi la vive), l’energia, il respiro, la bellezza, il confortevole, il familiare, il porto sicuro.
Trattiamo gli incalcolabili danni all’uomo delineando il profilo dell’indicibile vuoto psichico:
malvagio, crudele, sadico, ancidiale, spietato, ottuso, debole, insicuro, catatonico al fenomeno vita, megalomane, perverso, sordo, incapace, inadatto, inadeguato, omicidiale, spregiudicato, parafilico, limitato, schiavo, falso, maldicente, piccolo, violento, brutale, malevolo, insensibile, abbacinato, grave, virulento, aspro, non funzionante, inetto, afasico, asfittico, non essente, sterile, truce, cattivo, grandioso, superbo, inutile, pusillanime, bugiardo, turlupinatore, sottosviluppato, sradicato, confuso, sleale, distruttivo, malizioso, ipocrita, indegno, spregevole, seriale, prostituto, inautentico, degenerato, deludente, perdita, perduto, imperfetto, solo, torbido, freddo, tossico, baro, vile, superfluo, lordura, morto, disgrazia, errore.
Si argomenta qui dell’essere cosiddetto umano, cosiddetto uomo. Di genere sia maschile, sia femminile.
Si badi il voluto offuscamento di classici borderline, istrionico, antisociale. Tali terminologie utilizzate dalla scienza vuota sono altri tentativi che tentano di reggere il passo sulla manovra politica di richiesta “cattura attraverso detti disturbo e / o malattia mentale”. Come ho sostenuto, non intendo altro che difficoltà cromosomica e sangue. Un processo determinativo per alzata di mano utile a etichettare capi di bestiame temo non colga concretezza e prassi. In questa indagine promuovo lo sforzo. Tuttavia, questo conato potrebbe non produrre effetto, esser vano, e destinato a consegnar dimissioni, a motivo di fallace disposizione. Se la congetturale produzione di note sul sospetto vuoto chimico in vivo sullo scambio informativo cellule cardiache — cervello risultasse nullaggine, rimarrà nel campo ove il nulla è compreso nel e del fenomeno uomo, che è a sua volta è compreso nel e del nulla.
Il calzante impulso attivo sull’espressione d’uso terminologico, che non vuole contrastare il personale dubbio sulla validità di determinativi in luogo di perfetta coppia dell’indicibile intimo essere, risulta d’interesse sulla pericolosità dimostrata, per osservazione esperita, a beneficio di scienza, ricerca e studio. Il particolareggiare vive di impegno maturato e sopravvive al (parrebbe) disgustoso (ad alcuni) debole intento di traduzione dello stizzimento che potrebbe essere forma espressiva d’agito pulsivo naturale a sfavore di convincimento e piacere per rabbiosa violenta soverchieria. Per evitar fallimento, non si intendan strali.
Leggiamo la negatività e ritorniamo alla domanda sul perché sia venuto al mondo. Il successivo passo muove a chiedersi se le angherie perpetrate ove non vi è alcuna giustificazione e son mosse da scellerata azione, consentano interpretazione di pensiero sul diritto all’esistenza per forme non formate. Facile intendere che in ambito diritti non risulta sufficiente discutere di uguaglianze, amore universale, fratellanza, egualità, equità. Come in passato, ritorniamo al limitarci al: ad altri sentenze. Non foss’altro giacché non ci occupiamo di politica e leggi, ma bensì di indagine e giustizia, nel tentativo di allontanarci dall’inefficacia, di superare forme organizzate costituenti illusorie etica e morale e leggere il fenomeno uomo per sua natura, producendo riflessioni e non scorie burocratiche.
Questo livello ci ha portati a quel che appare il kur del non ritorno, l’erṣetu.
«Quivi eravam voluti?».
Osserviamo il thaumante ctonito. L’iris. Il terribile. La perturbante ostilità schizofrenica. Del liquido, criminale dell’uomo, osserviamo l’annientamento della vita, l’intensa definitività dell’originario nulla, la supponenza, la tracotanza, la tensione asimmetrica esasperata al punto da non arrendersi di fronte all’evidenza e alla stessa imminenza di morte.
Così perspicuo: questo falso volto di sabbia non starebbe in forma nemmeno con tutta la colla del mondo.
Degenere. Dal latino degenerem, lemma composto dalla particella de (da) che vale distacco, allontanamento, e genus (generis), legnaggio. Che traligna dal genere, dalla linea di sangue; che perde la qualità e i caratteri del tipo primitivo. Indegno della sua origine, corrotto. Tuttavia degenerare differisce da tralignare e da imbastardire. Tralignare è l’andar fuori linea, declinare dalla propria natura quando la deviazione riferisce alle qualità caratteristiche. Imbastardire esprime cangiamento nelle proprietà essenziali. Bastardo: tale che non conserva l’analogia con quei da cui deriva.
Conosciamo il territorio e sentiamo il natural costretto radicarsi, al fine d’evitar l’abbandono all’astrazione metafisica influenzante. Tuteliamo il nostro esser creatura in questa terra e portiamo il consueto prestigio che si sazia di aria e sangue per quel che siamo, mai dimenticandoci che oggi osserviamo quelli che sembrano scolarette pruriginose che sui cosiddetti social media attraggono (e così dimostrano mancanza di autenticità) sul finire di commenti che si commentano da soli. La forma cosiddetta mentecatta pare abbia sostituito il fare intelligente, sulla scia di qualcosa che sembra mai abbia revocato l’ordine di non fare immagine, e sull’iconodulia che permea la psiche. L’aniconismo e l’iconoclastia provocherebbero movimenti di pensiero che spingerebbero l’individuo a inorridire, quando l’orrore del temibile aspetto di una realtà sepolta dall’inganno è dolce, e nessuno attende per fissare con acribia.
Non vi è nulla di serio quando si ride su tutto ciò che lo è.
La stortura mentale, erroneamente intesa malattia, è il disgusto e il disprezzo per la vita, in un sordo panorama ove l’uomo è perituro e perito. Esso muore nel desiderio e nell’idea, prima che lo stesso cada nel mondo.
Ricordiamoci che deve essere intesa certezza solo il dubitare. Se questi brogliacci riservano d’obbligo l’esperienza del conoscere sul conosciuto e sul saputo, mi chiedo allora se sia il profilo qui eviscerato l’uomo liquido in pienezza. Ovvero, se questo è un uomo, l’evidenza svolge un piumone di spine. La dimensione umana è il disastroso danno dell’universale particolare stesso. Così il narcisista è l’ultimo non primitivo, il militare che sullo sterminio non deve provare nulla e può solo rispondere di non sapere perchè sia venuto al mondo e perché meriti d’esistere, ma sempre risponderà che deve solo eseguire un compito, sia il proprio ego, la propria insufficienza, la propria inettitudine, un comando altro a dirigere. È la prova del fallimento e della minoranza. È il buio, quel buio dove tutto muore la vita già mai nata. È quel che non diventa altro perché non gli è concesso, sul solitario blocco di partenza che non esiste.
Meditate che questo è stato:
vi comando queste parole.
Superarsi su bene e male, osservando da nuova posizione le ceneri di morale e etica.
Il valore degli uomini si dimostra dal sentimento, per ragion di sangue. Se non vien data importanza a verità, e non si cerca, e non si fa, si spreca tempo, l’azione più ignobile e disprezzata. È così che si esperisce l’invano vissuto.
Sottovalutare il valutabile, questo è vera deriva intraspecie.