Antonio Cospito: Il Vino della Santa Messa

Tutto ha inizio nell’Ultima Cena, durante la quale Gesù istituisce l’Eucaristia. Come leggiamo nel Vangelo secondo Matteo (26, 27-28): “Poi prese il calice e, dopo aver reso grazie, lo diede loro dicendo: «Bevetene tutti, perché questo è il mio sangue dell’alleanza, versato per molti, in remissione dei peccati»”. In queste parole di Gesù è racchiuso il significato del gesto che vediamo compiere al sacerdote durante la messa: versare vino nel calice e berlo.
Una volta consacrato dal sacerdote quel vino non “rappresenta” il sangue di Cristo, bensì “è” il sangue di Cristo, versato sulla Croce per salvarci dal peccato (così il pane non rappresenta il corpo, ma “è” il corpo): questo è quanto dice il dogma della transustanziazione. È un’affermazione indiscutibile e cruciale; scrive san Tommaso d’Aquino: “Un dogma è dato ai cristiani: il pane si trasforma in carne e il vino in sangue”.
Fin qui, la spiegazione teologica, che va conosciuta. Ma non è capitato anche a voi di chiedervi quale vino si usi durante la messa? O quanto debba berne il sacerdote? O perché di solito sia data ai fedeli solo l’ostia e non il vino? A queste e altre domande rispondiamo per voi.

Il vino da messa è un vino qualunque?
No, certo. Dev’essere prodotto seguendo l’articolo 924 del Codice di Diritto canonico: “Il vino deve essere naturale, del frutto della vite e non alterato”. Durante la produzione non va aggiunto nulla all’uva.

Chi lo produce?
Solitamente conventi o istituzioni religiose, ma ci sono anche produttori “laici”. Questi devono avere un’autorizzazione dalla curia, basata su un’analisi chimica e che si rinnova ogni due anni.

Se è il sangue di Gesù dev’essere rosso?
Non è necessario. Anzi, da tempo è consolidato l’uso del vino bianco: dà meno problemi se macchia la tovaglia dell’altare.

Che cosa succede se un non sacerdote beve vino da messa?
Nulla. Tutt’al più potrà non sembrare particolarmente buono, perché in questo caso quel che conta non è il “gusto”, ma il rispetto del Diritto canonico.

Non c’è neppure un vitigno (cioè una varietà di vite) più consigliato di altri: è consuetudine prediligere vini liquorosi perché è più facile conservarli.

Il “cambiamento” fondamentale nella considerazione che si deve avere per il vino da messa avviene con la consacrazione durante il rito.

Perché il sacerdote mescola vino e acqua?
C’è una motivazione teologica: come il vino assimila l’acqua, così Gesù, unendoci a lui, ha preso su di sé i nostri peccati. Vino e acqua, poi, rappresentano la natura umana e divina di Cristo: dal suo costato ferito con la lancia dal centurione, durante la crocifissione, sono sgorgati appunto sangue e acqua.
Ci può essere, però, anche un richiamo “storico”: al tempo di Gesù, infatti, era consuetudine diluire il vino con acqua, e forse questo potrebbe essere stato fatto anche nel corso dell’Ultima Cena.

Perché si mette un po’ di pane consacrato nel calice?
Per ricordare l’unità del Corpo e del Sangue di Cristo nell’opera di salvezza.

E perché i fedeli ricevono solo l’ostia?
Non c’è una regola precisa. Come si legge nel Catechismo della Chiesa cattolica, Gesù è presente sacramentalmente sotto ciascuna specie, sia nel pane sia nel vino consacrati, perciò è sufficiente anche riceverne solo una. È il sacerdote che decide se somministrare anche il vino, magari intingendovi l’ostia.

Ciò che il Codice di Diritto canonico impone al sacerdote, invece, è di consacrare sempre sia il pane sia il vino.

Anche il prete può prendere solo l’ostia?
No: lui e gli eventuali concelebranti devono ricevere (anche se in minima parte) il corpo e il sangue di Cristo attraverso le due specie.

E se è astemio?
Non può fare a meno di assumere il vino consacrato. Per comunicarsi, però, basta anche una piccolissima quantità di vino, presa magari intingendovi l’ostia. E poi al vino viene sempre aggiunta un po’ d’acqua.

Se resta un po’ di vino nel calice?
Se al termine della distribuzione della Comunione rimane un po’ di vino nel calice, dev’essere bevuto dal sacerdote o da un altro ministro: chi getta il vino consacrato (o lo porta via o lo conserva per usi sacrileghi) è scomunicato.

Perché si tiene coperto il calice?
Il calice è tenuto coperto con un piccolo telo (detto copricalice o palla) per evitare che vi possano cadere elementi estranei, soprattutto dopo che il vino si è trasformato nel Sangue di Cristo.

Cosa si fa se cade il vino consacrato?
Il Messale dice: “Se si versasse qualche goccia del Sangue del Signore, si lavi il luogo con acqua e l’acqua si versi nel sacrario (una sorta di lavabo, ndr.) che si trova in sacrestia”.